Gli egizi credevano fermamente nelle forze vitali che governavano l’universo, in un’energia immortale che assumeva la sua manifestazione più alta nel culto solare, già affermato in epoca preistorica. Questa energia però poteva far capo anche a un animale utile o che incuteva timore, a una pianta che dava ombra o nutrimento, a un capotribù sapiente, e persino a una pietra o roccia che con la sua forma esercitava strane suggestioni e perché, infine, non all’ammirazione per un’arma uscita bella ed efficace dalle mani dell’artefice? È questo il culto del totem preistorico, dal quale gli dei locali ereditarono il carattere e la funzione sociale. Ebbero un nome proprio, ma del totem indigete conservarono spesso l’aspetto. Tuttavia, in quanto capaci di agire verso gli uomini, ebbe anche membra umane; i due aspetti, umano e animale, vennero variamente appianati. Ed ecco, sparse per l’Egitto, divinità in figura di uomo, di animale e ibride, ossia umane con testa ferina o viceversa, tanto varie e tanto strane che sbalordirono i greci, avvezzi ai loro dei tutti umani e in bellezza sublime. In realtà, la devozione religiosa si concentrava solo in un piccolo gruppo, o triade, di divinità locali e sugli dèi della casa che assicuravano un certo grado di sicurezza e assistenza. La divinità nazionale aveva ben poca influenza sulla vita della gente comune.